mercoledì 6 aprile 2016

un contributo critico


Maria Elena Dalla Gassa

Maria Antonietta Torriani nasce il 1 gennaio del 1840 da Luigi,
orologiaio, e Carolina Imperatori, maestra elementare.
Ha una sorella più grande, Giuseppina, nata nel 1837.
Dopo la morte prematura del padre le due sorelle vengono mandate in collegio.
Ritorneranno in famiglia, nel 1847, quando la madre per necessità
si risposerà con un vicino di casa, il maturo chimico Martino Moschini,
fatto che peserà molto sulla vita della Torriani.
Dal secondo marito Carolina Imperatori avrà un altro figlio:
Tommaso, che le due sorelle soprannomineranno il “vecchino”.
Maria Antonietta compie i suoi primi studi a Novara

alle scuole Cannobbiane e al Civico Istituto Bellini d’Arti e mestieri.
A poco più di vent’anni, considerata dai suoi stessi familiari
una zitella scriteriata e testarda, preferisce ritirarsi in convento
che rassegnarsi a un matrimonio di convenienza.
Viene spedita nel monastero di clausura benedettino Mater Ecclesiae,
a Miasino sul lago d’ Orta, ma fin da subito soffre la stretta disciplina
rigida e soffocante. Intanto studiava e scriveva.
Alla morte del patrigno (1865) la Torriani può disporre di una piccola eredità.

Lascia il convento e dopo aver conseguito il diploma di istitutrice
e insegnato nelle scuole elementari della bassa novarese decide
di abbandonare la triste e pigra provincia piemontese,
di non rimanere in famiglia ad allevare, dopo la morte della madre,
il fratellastro, come era toccato a Denza la protagonista
di Un matrimonio in famiglia (1885), il più noto e apprezzato fra i suoi romanzi.
Nel 1868 la Torriani si trasferisce a Milano dove mette a frutto
la sua brillante intelligenza iniziando la carriera di scrittrice e giornalista,
ed esordendo nel 1869 sulla rivista «il Passatempo».
In questi anni si consolida la sua attenzione per l’emancipazione
e l’analisi del lavoro femminile. Determinante l’incontro e l’amicizia
con Anna Maria Mozzoni, protagonista delle battaglie di questi anni.
Entrambe intrepide e indipendenti parlano e agiscono con la stessa libertà;
tengono conferenze e discorsi d’arte, di letteratura e d’educazione.
Insieme danno l’avvio al Liceo Gaetana Agnesi, convinte che una nuova
educazione femminile fosse la strada maestra per consentire alle donne
la “liberazione”, e l’università, e allargare l’orizzonte di una formazione
esclusivamente atta a sfornare madri, mogli e padrone di casa.
Queste teorie si esprimeranno nel saggio,
Della letteratura nell’educazione femminile,
edito nel 1871, nel quale approfondisce la questione della lettura
e della cultura come elementi di un percorso di formazione femminile.
Già molto avvezza a scrivere di costume e società, nel 1877 pubblicò

con Il giornale delle donne un testo di grande successo che ebbe
nel giro di una decina d’anni almeno venti ristampe,
un piccolo innovativo galateo, La gente per bene: leggi di convenienza sociale (1877),
antiretorico ritratto sociale nel quale il rispetto per la persona fa
da principio guida di una società e di una nazione nascente,
in cerca di un modello progressista di convivenza civile.
In qualità di giornalista la Torriani collaborò alla rivista «La donna»,

diretta da Gualberta Alaide Beccari, unico caso, in quegli anni,
di una redazione composta di sole donne.
L’attività letteraria della Torriani è ampia e diversificata:
collaborazioni, traduzioni, racconti, libretti per melodrammi e romanzi,
anche per l’infanzia rivelano una predilezione per le tematiche veriste
rivolte in particolare alla condizione femminile,
come nel suo romanzo In risaia, del 1878, nel quale si analizza
e denuncia la precarietà del lavoro delle mondine.
Nei suoi libri, più di 40 pubblicati, i ritratti di donne di provincia o di città,

delle più svariate condizioni sociali: mondine, serve,
signore della media e alta borghesia, rivelano la modernità dell’autrice
dal carattere estroverso e intraprendente, forte e disinvolto.
Acclamata e corteggiata frequentò i salotti riformisti e i circoli intellettuali

dell’avanguardia dell’epoca. Ebbe alcune relazioni sentimentali
con personaggi legati alla letteratura fra i quali Enrico Panzacchi
e Giosuè Carducci che le dedicò Autunno romantico in Rime nuove.
La relazione con il Carducci finì quando la Torriani gli presentò

la sua amica poetessa Carolina Cristofori Piva, la quale a furia
di scrivergli lettere e poesie lo aveva sedotto al punto di diventare
la Lidia delle Odi Barbare e la sua musa.
Gelosa della propria indipendenza la Torriani si sposò a 35 anni

– età consolidata, per i suoi tempi, allo stato di zitella –
con Eugenio Torelli Vallier, giornalista con il quale collaborava
da diversi anni e che l’aveva accolta alla stazione, al suo arrivo a Milano.
Le nozze furono celebrate il 30 ottobre, pochi amici, la sposa era vestita di rosa.
Assieme al marito nel 1876 fonderà il «Corriere della Sera» diventandone

la prima firma femminile. Sulla testata milanese firmò la rubrica
Lettera aperta alle signore. Seguì un’altra rubrica di costume
e società Colore del tempo sul settimanale femminile «Vita intima».
Il sodalizio sentimentale e professionale tra i due finì a causa del suicidio di Eva,
la giovane figlia della sorella Giuseppina, che avevano praticamente adottato.
Le attenzioni di Torelli Voiller per Eva suscitarono ben presto la gelosia
della Torriani, che la sentiva come una rivale.
Le punzecchiature fra le due erano continue,
finché una sera, la ragazza, umiliata dalla zia in casa di amici,
colta da un raptus, si gettò dalla finestra, uccidendosi.
Da quel momento marito e moglie si tormentarono con accuse reciproche
fino ad arrivare, pochi mesi dopo la tragedia, alla separazione.
Verso il 1900 Maria Antonietta si trasferì a Torino (Cumiana),

defilandosi così dalla scena letteraria e mondana.
Sempre attiva nell’impegno sociale fonderà l’Ufficio
di indicazione e di accoglienza per le persone bisognose
e durante la prima guerra mondiale, aprirà un altro ufficio
per fornire i soldati di calze, maglie e scalda-ranci.
Morì a Milano il 24 marzo del 1920. È sepolta a Cumiana.

Dal punto di vista della critica letteraria già sotto il fascismo
venne completamente dimenticata, sottovalutata e fraintesa.
La sua rivalutazione critica la si deve, come detto,
a Italo Calvino e a Natalia Ginzburg, che hanno più compiutamente
 indagato e apprezzato la sua figura, il suo ruolo nella storia
della letteratura italiana e il suo stile innovativo, asciutto e ironico,
ripubblicandone nella collana «centopagine» il romanzo
Un matrimonio in provincia e scrivendo di lei:
«Rileggendolo […] scopersi che quando avevo pensato a scrivere
dei romanzi li avevo assai sovente situati in una luce invernale
e avevo sperato di dare a luoghi e persone i medesimi tratti amari
 e allegri che essi avevano qui. Ma non me n’ero accorta,
custodivo sempre questo romanzo nella memoria».

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