mercoledì 29 giugno 2016

una descrizione della Marchesa Colombi



Mi si permetta di aggiungere che chi scrive ebbe la fortuna di conoscere di persona la Marchesa Colombi. Era il fatidico maggio 1915 (i giorni in cui l'Italia entrò in guerra), frequentavo la Scuola Tecnica Galileo Ferraris di Novara.
 
Ma veniamo al fatto. La domenica pomeriggio a Novara la gente per bene era solita fare la passeggiata delle cinque. Da piazza Vittorio a piazza Cavour "facendo" i portici. E anch'io come tanti. Lì, attorno ad un tavolino del Caffè delle Ore un gruppetto di signori capeggiato dal noto pubblicista novarese Bazzetta de Vemenia complimentava una signora molto elegante, eccentrica, che indossava un abito chiaro a volantini, mezzi guanti di filo, un cappellino rotondo guarnito d'una ghirlandella di nontiscordardime e che si appoggiava ad un ombrellino da sole azzurro con manico con pomo d'avorio. Minuta minuta tanto era esile. Una figurina fragile da evocare una statuina di porcellana cinese da soprammobile. Un signore anziano, obeso, con cravatta nera e farfalla si chinava per baciarle la mano. Era la Marchesa Colombi che, da Torino, dove si era stabilita, di quando in quando veniva nella sua città natale ospite di una nobile famiglia amica.
 
G. RIGOTTI, Voleva farsi suora, ma sposò il fondatore del "Corriere della Sera", in Historia, ottobre 1980

venerdì 20 maggio 2016

il mondo della risaia



 
 



La marchesa Colombi descrive nei suoi romanzi e racconti non solo le Signore con i bei vestiti ma anche le contadine. Una di queste è Amalia in Cara Speranza
 
In tutta la persona dell'Amalia si vedevano le traccie della vita e dei lavori delle risaie. Aveva ventisette anni ma ne dimostrava quaranta. Il volto era pieno di rughe, i capelli, folti sulla fronte, erano tanto radi sul cranio, che frammezzo alle ciocche, tirate nella legatura, si vedeva la pelle bianca sollevarsi.
Portava la pettinatura del nostro contado, e come tutte le contadine, che quel peso enorme sul capo rende calve prima del tempo, suppliva alla capigliatura mancante con due grosse treccie di cotone, girate intorno ad un cerchietto di filo di ferro coperto di tela; ed in quelle puntava i grossi spilloni di falso argento. Sui capelli scarsi, quell'edificio non trovava appoggio sufficiente, e le

ballonzolava dietro il capo. Le mancavano vari denti, e, traverso quei vuoti, le esse uscivano sibilanti.

Ma di questi particolari della sua figura l'Amalia non si dava il menomo pensiero. Era forte e sana, sapeva d'aver ventisette anni. Cosa le importava di dimostrarne di più?

mercoledì 6 aprile 2016

una Novara diversa...




Chi lo direbbe che il quartiere di San Martino, oggi così a ridosso del centro storico un tempo non molto lontano era definito un sobborgo?

leggiamo che cosa scrive la nostra Marchesa Colombi in Un matrimonio in provincia, edizione Interlinea p. 57


Finalmente lo conobbi, e gli parlai. Ecco la storia di quel giorno memorabile. Era la prima domenica d'ottobre, la festa del Rosario. Nel sobborgo di San martino, dopo i vespri, si faceva la processione, portando in giro la Madonna del Rosario, tutta vestita d'oro colla corona di perle.
Le cugine Bonelli avevano un villino appunto nel sobborgo di San Martino; ma dal villino non si poteva vedere la processione. Però in fondo al sobborgo possedevano una casa colonica, con un ballatoio sulla strada e là c'invitarono quel pomeriggio d'autunno, perché la processione passava appunto sotto la casa.


Quanto appare diversa Novara in queste righe rispetto ad oggi...

un contributo critico


Maria Elena Dalla Gassa

Maria Antonietta Torriani nasce il 1 gennaio del 1840 da Luigi,
orologiaio, e Carolina Imperatori, maestra elementare.
Ha una sorella più grande, Giuseppina, nata nel 1837.
Dopo la morte prematura del padre le due sorelle vengono mandate in collegio.
Ritorneranno in famiglia, nel 1847, quando la madre per necessità
si risposerà con un vicino di casa, il maturo chimico Martino Moschini,
fatto che peserà molto sulla vita della Torriani.
Dal secondo marito Carolina Imperatori avrà un altro figlio:
Tommaso, che le due sorelle soprannomineranno il “vecchino”.
Maria Antonietta compie i suoi primi studi a Novara

alle scuole Cannobbiane e al Civico Istituto Bellini d’Arti e mestieri.
A poco più di vent’anni, considerata dai suoi stessi familiari
una zitella scriteriata e testarda, preferisce ritirarsi in convento
che rassegnarsi a un matrimonio di convenienza.
Viene spedita nel monastero di clausura benedettino Mater Ecclesiae,
a Miasino sul lago d’ Orta, ma fin da subito soffre la stretta disciplina
rigida e soffocante. Intanto studiava e scriveva.
Alla morte del patrigno (1865) la Torriani può disporre di una piccola eredità.

Lascia il convento e dopo aver conseguito il diploma di istitutrice
e insegnato nelle scuole elementari della bassa novarese decide
di abbandonare la triste e pigra provincia piemontese,
di non rimanere in famiglia ad allevare, dopo la morte della madre,
il fratellastro, come era toccato a Denza la protagonista
di Un matrimonio in famiglia (1885), il più noto e apprezzato fra i suoi romanzi.
Nel 1868 la Torriani si trasferisce a Milano dove mette a frutto
la sua brillante intelligenza iniziando la carriera di scrittrice e giornalista,
ed esordendo nel 1869 sulla rivista «il Passatempo».
In questi anni si consolida la sua attenzione per l’emancipazione
e l’analisi del lavoro femminile. Determinante l’incontro e l’amicizia
con Anna Maria Mozzoni, protagonista delle battaglie di questi anni.
Entrambe intrepide e indipendenti parlano e agiscono con la stessa libertà;
tengono conferenze e discorsi d’arte, di letteratura e d’educazione.
Insieme danno l’avvio al Liceo Gaetana Agnesi, convinte che una nuova
educazione femminile fosse la strada maestra per consentire alle donne
la “liberazione”, e l’università, e allargare l’orizzonte di una formazione
esclusivamente atta a sfornare madri, mogli e padrone di casa.
Queste teorie si esprimeranno nel saggio,
Della letteratura nell’educazione femminile,
edito nel 1871, nel quale approfondisce la questione della lettura
e della cultura come elementi di un percorso di formazione femminile.
Già molto avvezza a scrivere di costume e società, nel 1877 pubblicò

con Il giornale delle donne un testo di grande successo che ebbe
nel giro di una decina d’anni almeno venti ristampe,
un piccolo innovativo galateo, La gente per bene: leggi di convenienza sociale (1877),
antiretorico ritratto sociale nel quale il rispetto per la persona fa
da principio guida di una società e di una nazione nascente,
in cerca di un modello progressista di convivenza civile.
In qualità di giornalista la Torriani collaborò alla rivista «La donna»,

diretta da Gualberta Alaide Beccari, unico caso, in quegli anni,
di una redazione composta di sole donne.
L’attività letteraria della Torriani è ampia e diversificata:
collaborazioni, traduzioni, racconti, libretti per melodrammi e romanzi,
anche per l’infanzia rivelano una predilezione per le tematiche veriste
rivolte in particolare alla condizione femminile,
come nel suo romanzo In risaia, del 1878, nel quale si analizza
e denuncia la precarietà del lavoro delle mondine.
Nei suoi libri, più di 40 pubblicati, i ritratti di donne di provincia o di città,

delle più svariate condizioni sociali: mondine, serve,
signore della media e alta borghesia, rivelano la modernità dell’autrice
dal carattere estroverso e intraprendente, forte e disinvolto.
Acclamata e corteggiata frequentò i salotti riformisti e i circoli intellettuali

dell’avanguardia dell’epoca. Ebbe alcune relazioni sentimentali
con personaggi legati alla letteratura fra i quali Enrico Panzacchi
e Giosuè Carducci che le dedicò Autunno romantico in Rime nuove.
La relazione con il Carducci finì quando la Torriani gli presentò

la sua amica poetessa Carolina Cristofori Piva, la quale a furia
di scrivergli lettere e poesie lo aveva sedotto al punto di diventare
la Lidia delle Odi Barbare e la sua musa.
Gelosa della propria indipendenza la Torriani si sposò a 35 anni

– età consolidata, per i suoi tempi, allo stato di zitella –
con Eugenio Torelli Vallier, giornalista con il quale collaborava
da diversi anni e che l’aveva accolta alla stazione, al suo arrivo a Milano.
Le nozze furono celebrate il 30 ottobre, pochi amici, la sposa era vestita di rosa.
Assieme al marito nel 1876 fonderà il «Corriere della Sera» diventandone

la prima firma femminile. Sulla testata milanese firmò la rubrica
Lettera aperta alle signore. Seguì un’altra rubrica di costume
e società Colore del tempo sul settimanale femminile «Vita intima».
Il sodalizio sentimentale e professionale tra i due finì a causa del suicidio di Eva,
la giovane figlia della sorella Giuseppina, che avevano praticamente adottato.
Le attenzioni di Torelli Voiller per Eva suscitarono ben presto la gelosia
della Torriani, che la sentiva come una rivale.
Le punzecchiature fra le due erano continue,
finché una sera, la ragazza, umiliata dalla zia in casa di amici,
colta da un raptus, si gettò dalla finestra, uccidendosi.
Da quel momento marito e moglie si tormentarono con accuse reciproche
fino ad arrivare, pochi mesi dopo la tragedia, alla separazione.
Verso il 1900 Maria Antonietta si trasferì a Torino (Cumiana),

defilandosi così dalla scena letteraria e mondana.
Sempre attiva nell’impegno sociale fonderà l’Ufficio
di indicazione e di accoglienza per le persone bisognose
e durante la prima guerra mondiale, aprirà un altro ufficio
per fornire i soldati di calze, maglie e scalda-ranci.
Morì a Milano il 24 marzo del 1920. È sepolta a Cumiana.

Dal punto di vista della critica letteraria già sotto il fascismo
venne completamente dimenticata, sottovalutata e fraintesa.
La sua rivalutazione critica la si deve, come detto,
a Italo Calvino e a Natalia Ginzburg, che hanno più compiutamente
 indagato e apprezzato la sua figura, il suo ruolo nella storia
della letteratura italiana e il suo stile innovativo, asciutto e ironico,
ripubblicandone nella collana «centopagine» il romanzo
Un matrimonio in provincia e scrivendo di lei:
«Rileggendolo […] scopersi che quando avevo pensato a scrivere
dei romanzi li avevo assai sovente situati in una luce invernale
e avevo sperato di dare a luoghi e persone i medesimi tratti amari
 e allegri che essi avevano qui. Ma non me n’ero accorta,
custodivo sempre questo romanzo nella memoria».

domenica 27 marzo 2016

Mercato che Passione !






L’estate inoltrata e piena aveva disegnato nel cielo un sole giallo intenso che Maria poteva scorgere nell'angolo a destra della grande vetrata che, dal salone della sua casa, volgeva lo sguardo sulla piccola piazza.
Maria Antonietta, Maria come a me piace chiamare, teneva svogliatamente tra  le mani il suo ricamo lasciando che la stoffa , sulla quale il mazzo di rose stava prendendo vita, scivolasse pian piano dalla sua gonna di taffetà color bordeaux sino al pavimento in legno lucido che, riscaldato dai raggi del sole, emanava un dolce profumo di cera molto simile, a parer suo, al profumo dolce del tabacco che bruciava lentamente nella pipa del padre, nella stanza accanto.
Era annoiata, infastidita quasi, dal silenzio che regnava nella stanza ed una dolce frenesia si stava impossessando di lei.
Si alzò, guardò fuori dalla finestra e pensò che non avrebbe sprecato un minuto di più in quella stanza a ricamare corredi ai quali non era ancora per nulla affezionata e tanto meno interessata.
La madre dalla poltrona opposta, sotto il grande quadro del trisavolo ritratto in tenuta da caccia dentro ad un paesaggio cupo ed opprimente dove un povero fagiano giaceva ormai morto e penzolante tra le sue mani, stava sfogliando un libro di giardinaggio e commentava di acquistar sementi e oggetti da giardino.
“Oggi è sabato “ disse Maria “ Giorno di mercato!  Andrò a fare un giro a veder se posso trovare qualche frutto o ortaggio da portare a Natalina per il pranzo. ”
“Non vorrai mica uscire adesso? A quest’ora? Da sola? Al mercato? In mezzo a tanti uomini?”
“Hai altre assurde domande da pormi madre o posso tranquillamente uscire a vedere la città in tutti i  suoi colori invece di restare qui ad annoiarmi su ricami che credo mai vorrò per me?”
Non sentì cosa rispose la madre perché le sue giovani game l’avevano già portata fuori, nella piazzetta e stava imboccando la strada che dritta dritta portava al mercato.
Ah! Che sole, che aria, che respiro, che libertà! Aveva al braccio una piccola sporta di vimini , simile ad un paniere, coperto di una stoffa coloratissima e dipinta a mano dalla madre che amava dilettarsi nella pittura, con scarso successo peraltro, così che i tulipani rossi gettati a pennellate sulla stoffa avevano le sembianze di cavalieri insanguinati e stramazzati al suolo dopo una lunga battaglia.
Imboccò la via, svoltò a destra, proseguì a sinistra e le apparve la piazzetta  successiva gremita di gente :
“Il Mercato”.
S’intrufolò tra i banchi e…..qui iniziò il suo viaggio tra i sapori e gli stupori.
Il banco dei formaggi e dei salumi era gestito da un grosso e basso  uomo con barba lunga ma senza capelli ed il contrasto tra il cespuglio sotto ed il deserto sopra  fece sorridere Maria che subito ne fu attratta e si avvicinò al banco. Il profumo intenso di toma dell’alpeggio si appropriò dei suoi sensi. 
La vista fu rapita dalle forme dei salami appesi al banco e pendenti  da una corda che parevano tanti piccoli impiccati. Grosse fette di formaggio stagionato si abbracciavano tra di loro su canovacci di lino e ciotole di candida ricotta stavano in bella mostra vicino a cotechini e sanguinacci dal colore scuro, intenso, sembravano grossi ed impossibili bislunghi chicchi d’uva nerissima, come se la natura per scherzo li avesse tirati alle due estremità.  
Era un mercato di città, dove veniva offerta la merce migliore e i commercianti avevano molta cura nell'esporla,  molto più che in un qualsiasi altro mercato di un qualsiasi altro piccolo paese fuori dalle porte della città.
Maria viveva di curiosità così passò al banco successivo e a quello dopo e all’altro ancora e si riempì occhi, olfatto, vista, tatto di tutti i tesori  della terra, della natura che incontrava tra i banchi del mercato.
Incontrò i peperoni  felici e sorridenti esposti con cura in una sequenza di eccitanti colori che andavano dal giallo al rosso al verde, pomodori orgogliosi di esserlo gonfi di succo e caldi di passione, aggrapparti a sottili piccole braccia verdi come se avessero paura di essere staccati e divisi dai propri compagni. Trovò foglie di un  intenso e fresco verde lattuga, scura e frastagliata cicoria a ceppi immensi che lei ricordava aver visto anche nei prati fuori la città quando andava  a passeggiare col padre, tonde e sformate patate dalla buccia color sabbia, sottile e ancora sporche come fossero appena state strappate dal grembo materno della terra.
Al banco della frutta e verdura vi era una donna. Una mora prosperosa come le more che teneva nei suoi cestini. Bella, sorridente, aveva labbra carnose come fragole , rosse come ciliegie, seni gonfi come mele e, supponeva Maria, morbidi come pesche. Si avvicinò al banco e i suoi occhi esplosero in colori che neppure l’arcobaleno poteva contenere. Guardò ed accarezzò con le mani trepidanti i frutti che Madre Natura aveva messo in terra perché gli uomini potessero goderne.
Maria era eccitata, entusiasta, confusa, golosa e capricciosa di odori e sapori. Le sembrava che  il suo copro vibrasse come di fronte ad una grande emozione. Come un’emozione d’amore.
Era la scoperta di ciò che il mercato poteva offrire, in tutte le sue varianti naturali, in tutti i suoni dei sapori e la musica che nasceva in lei era come se fosse stata scritta su di uno spartito di finissima e profumata carta sulla quale le note componevano ricette nuove ed invitanti che il suo corpo avrebbe voluto mangiare all'istante.
Si calmò solo quando il suo cestino fu colmo di cibo e con l’eccitazione di una bambina  alla quale avevano appena regalato un nuovo giocattolo tornò a casa, fece le scale di corsa e…. 
“Natalina! Guarda cosa ho comperato! Vieni in cucina e mettiamoci subito al lavoro. Prepareremo insieme un pranzo buono, fresco e colorato!”
“Ma Signorina lei non può entrare in cucina, non è luogo per la figlia dei padroni!”  Disse Natalina disperata per l'irruenza e la disobbedienza della giovane Maria.

“Mia cara Natalina, dove c’è novità, scoperta e preparazione, quello è il mio luogo. E la cucina è un luogo adatto alla scoperta ed alla creazione. Ora al lavoro! E’ un ordine!”       

domenica 6 marzo 2016

Siamo Tutte un po' Marchesa.

Dalla finestra della sua casa Maria Antonietta guardava l'acqua piovere da quel cielo grigio e denso di nubi che , immobili sopra la sua città e stanche di ridere, avevano scelto, quel giorno, di piangere ininterrottamente.  Dalla cucina il profumo dei biscotti appena sfornati aveva invaso la casa ed aveva raggiunto tutte le stanze , prepotentemente, senza chiedere permesso alcuno ed aveva stuzzicato la noia delle ore che lente passavano tra una lancetta e l'altra dell'antico orologio a pendolo, quello che aveva lasciato il nonno,  che stava nel grande atrio della casa. "Din Don" "Din Don".  L'ora così stuzzicata suonò. Il rumore della teiera appoggiata dalla madre sul tavolo di marmo della sala da tè e quello dei cucchiaini d'argento che lentamente solleticavano le chicchere  nell'intento di mescolare lo zucchero , la riportarono  alla realtà della sua casa, più ancora del suono del vecchio orologio. Si voltò svogliata, indugiò un attimo prima di raggiungere la madre e, scrutando nuovamente il cielo, si sentì invadere da un senso di solitudine ed impazienza, di frenesia e di desiderio.
"Ci sarà altro luogo oltre a questa città dove poter vivere? Altro luogo dove le speranze ed i sogni possano trovare  spazio e  realtà? Altro luogo dove una  donna possa esprimere il proprio essere e dove poter scegliere di vivere una vita che non sia solo quella del matrimonio e della famiglia? "
Maria Antonietta aveva sogni. Sogni di donna impaziente ed intelligente. Desideri da esprimere, storie da raccontare. Aveva grandi idee e grandi progetti che sentiva lentamente e dolorosamente soffocare in una vita di provincia ed in una casa dove la famiglia non era pronta a comprendere ed accettare.
Restò appoggiata ancora per qualche minuto al davanzale della grande finestra sulla piccola piazza, senza muoversi di un centimetro mentre i suoi piedi, impazienti come i suoi desideri  danzavano immobili  in modo confuso ed agitato sotto la grande gonna pesante di velluto color verde scuro. Le scarpette da casa di stoffa, ricamata a tulipani colorati,  picchiettavano sul vecchio pavimento di legno segnando la musica di un viaggio, il suono di un andare, le note di una fuga , il canto di una scelta : " Esistere per essere. Scegliere per essere. Donna per essere donna."
Fu così che nacque il suo cambiamento. Fu ascoltando il suono del suo parlare dentro di sè. Fu così che scelse di essere donna diversa da donna nella sua epoca di fine 800. Così, dietro i vetri di una finestra in un giorno di pioggia di inizio di Primavera. La Primavera della sua vita che segnò stagioni di libertà, idee, parole, espressione, lavoro, partenze, letteratura e scrittura.
Questo è  solo il racconto dell'inizio di un'idea, dell'inizio di una vita, quella vita che Maria Antonietta ebbe il coraggio di plasmare a se stessa. Questo è solo il principio del racconto della forza di una donna che seppe scegliere se stessa in un'epoca che voleva le donne nascoste e silenziose, sottomesse alla vita di moglie e madre. Un'epoca dove il pensiero femminile per potersi esprimere doveva trasgredire, doveva rischiare ad esporsi in una società dove l'uomo era padrone. Ma la forza non si ferma, la forza dei desideri quando la senti crescere nell'animo è come un torrente in piena e non  esiste diga che possa trattenere e circoscrivere la volontà di una donna quando ne prende coscienza. Maria Antonietta ne fu l'esempio. Fece grandi cose, vi piacerà sapere cosa e come , ma ve lo racconteremo nelle prossime puntate.